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ECUADOR (QUITO)  
Ecuador: i 180 giorni di Correa
La Redazione

Rafael Correa completerà 180 giorni di presidenza della Repubblica dell’Ecuador paese tra i più piccoli del Sudamerica per ragioni storiche.

L’Ecuador, nato dalla dissoluzione dell’impero spagnolo, era per lo meno tre volte più grande, l ‘aggressività degli stati vicini, gli ha dato i suoi mal digeriti confini attuali. L’ultimo atto di questa complessa vicenda è stata la pace firmata solamente nel 1998, atto che ha posto fine alla disputa sui confini con il Perù in seguito all’occupazione da parte di quest’ultimo di circa centomila chilometri quadrati di foresta amazzonica ecuadoriana nel 1941. Ma non solo i confini dell’Ecuador sono stati soggetti a turbolenze, lo stesso è accaduto con la presidenza della repubblica. Correa è il primo presidente di sinistra del paese e l’ottavo in dieci anni. Durante l’ultima decade l’Ecuador ha affrontato un periodo di instabilità che ha visto gli ultimi tre presidenti eletti democraticamente non terminare il loro mandato e perdere il potere dopo aver affrontato crisi economiche e politiche, mobilitazioni di piazza popolari ed indigene.

Correa era stato eletto nel Novembre del 2006 con il 57 per cento dei voti contro Rafael Noboa considerato l’uomo più ricco del paese. Il suo programma era chiaro e netto, convocare un’Assemblea Costituente per redigere una nuova costituzione per introdurre profonde e radicali riforme politiche, sociali ed economiche tali da distruggere la corrotta partitocrazia, rinegoziare il debito estero, rivedere i contratti con le multinazionali, non rinnovare l’autorizzazione agli USA per la base di Manta in territorio ecuadoriano, portate le classi più povere al potere.

Un giorno prima dell’entrata in carica, il 15 di gennaio, compie un atto che amplia il contenuto del suo programma politico. Si reca nella cittadina andina di Zumbahua dove riceve, in una cerimonia condotta in lingua Quechua e traduzione simultanea in casigliano, il “Bando de mando” ovvero lo scettro del comando delle popolazione indigene, atto seguito da una “limpieza spiritual” ossia un atto di purificazione fatta con foglie e fiori secondo l‘antica religione degli Incas. Le presenze a questa cerimonia non lasciano dubbi sulle scelte politiche: Chavez e Morales! Nel suo discorso di ringraziamento Correa promette che il suo sarà il Governo degli indigeni. Continua dicendo che è sorta una nuova America Latina, sovrana, giusta, solidale e socialista. I suoi riferimenti sono l’Argentina, il Brasile, il Cile, l’Uruguay e il Venezuela.

Subito Correa apre un duro confronto con il parlamento dove non ha rappresentanti per far approvare un referendum da sottoporre agli ecuadoriani per la creazione dell’Assemblea Costituente. Dopo mesi agitatissimi, segnati da manifestazioni e scontri di piazza, cassazione e riammissione di parlamentari, di parlamenti occupati o assediati, Correa ottiene di far fissare per il 15 di aprile la data del referendum. Gli ecuadoriani approvano con percentuali bulgare, ”82%”, il progetto di cambiamenti radicali portati avanti dal giovane presidente. Il 30 di settembre si voteranno i 130 membri dell’Assemblea Costituente che, a differenza di quella di Morales, potrà approvare la nuova costituzione a maggioranza semplice. Subito si è aperta una campagna elettorale dai toni accesissimi. Correa, accusando l’attuale parlamento di essere corrotto e servo delle banche, dice con chiarezza che chiederà alla nuova Assemblea Costituente che venga sciolto perché ormai incapace a rappresentare il paese. Certamente il Parlamento non ha esitato ad infliggere duri colpi agli uomini più vicini al presidente. È il caso del ministro dell’economia Riccardo Patiño al quale ha inflitto una dura condanna chiedendone le dimissioni. Mentre il parlamento adottava queste scelte, nelle strade adiacenti, migliaia di indigeni, di associazioni popolari, di seguaci di Correa, di donne creavano un “Tribunale del Popolo”che assolveva Patino e gli riconfermava piena fiducia, é chiaro che il 30 settembre sarà un giorno decisivo per il paese. Correa consapevole di questo è venuto anche in Europa, in Spagna ed in Italia, per incontrare quel 20% di immigrati del suo paese che voteranno. All’idroscalo di Milano il 15 di luglio Correa ha ribadito il suo socialismo andino e la sua ispirazione bolivariana. I sondaggi negli ultimi giorni danno una caduta di consensi per Correa secondo quanto riportato dalla popolare rivista Vistazo del 20 luglio, pur tuttavia Correa dovrebbe ancora avere una buona maggioranza nell’Assemblea Costituente. Alcune vicende recenti del governo, poco di quella meritocrazia tanto sbandierata,liti interne, la ricomparsa di vecchie figure della sinistra, hanno creato forti dubbi dentro quell’82% di Correa del 15 di aprile. Vedremo nei prossimi giorni il ritmo del calo del consenso di Correa. Per chiudere lo stesso presidente ha ribadito che il paese manterrà, unico stato del mondo al di fuori degli USA, come moneta nazionale il dollaro, sì proprio la moneta degli odiatissimi yankee.


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